«Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazioper linea dritta e senza mai piegarsi,con larghe ruote, omai de l'aria sazio,cominciò sopra una isola a calarsi;pari a quella ove, dopo lungo straziofar del suo amante e lungo a lui celarsi,la vergine Aretusa passò invanodi sotto il mar per camin cieco e strano.
Non vide né 'l più bel né 'l più giocondoda tutta l'aria ove le penne stese;né se tutto cercato avesse il mondo,vedria di questo il più gentil paese,ove, dopo un girarsi di gran tondo,con Ruggier seco il grande augel discese:culte pianure e delicati colli,chiare acque, ombrose ripe e prati molli.
Vaghi boschetti di soavi allori,di palme e d'amenissime mortelle,cedri ed aranci ch'avean frutti e fioricontesti in varie forme e tutte belle,facean riparo ai fervidi caloride' giorni estivi con lor spesse ombrelle;e tra quei rami con sicuri volicantanto se ne gìano i rosignuoli.
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,che tiepida aura freschi ognora serba,sicuri si vedean lepri e conigli,e cervi con la fronte alta e superba,senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,pascano o stiansi rominando l'erba;saltano i daini e i capri isnelli e destri,che sono in copia in quei luoghi campestri.»
L. Ariosto, Orlando Furioso, VI.